Valerio Massimo
Facta et dicta memorabilia
Liber VII
cap. II
Ext. I - Socrate
[...] Idem, cum Atheniensium scelerata dementia tristem de capite eius sententiam tulisset fortique animo et constanti vultu potionem veneni e manu carnificis accepisset, admoto iam labris poculo, uxore Xantippe inter fletum et lamentationem vociferante innocentem eum periturum, "Quid ergo?" inquit "nocenti mihi mori satius esse duxisti?" [...]
[...] Socrate, dopo che la scellerata follia degli Ateniesi portò alla triste sentenza riguardo la sua condanna di morte, e che, con animo coraggioso e volto impassibile, ricevette dalla mano del carnefice un filtro di veleno, mossa già la bocca al filtro, mentre la moglie Santippe proclamava tra le lacrime e il lamento che lui stava per morire innocente, disse: "Perché, dunque, pensavi che per me sarebbe meglio morire da colpevole?" [...]
Ext. VIII
Mirifice etiam Thales: nam interrogatus an facta hominum deos fallerent 'ne cogitata
Talete, chiestogli se le cose fatte dagli uomini ingannasero gli dei, rispose: "Neppure le cose pensate ", affinché volessimo avere non solo le mani pure, ma anche le menti, poiché credevamo che la divinità celeste partecipi ai nostri pensieri segreti.
Ext. IX
Ac ne quod sequitur quidem minus sapiens. Unicae filiae pater Themistoclen consulebat utrum eam pauperi, sed ornato, an locupleti parum probato conlocaret. Cui is 'malo' inquit 'virum pecunia quam pecuniam viro indigentem'. Quo dicto stultum monuit ut generum potius quam divitias generi legeret. [...]
Ma nemmeno ciò che segue è meno saggio. Il padre Temistocle pensava all'unica figlia se maritarla ad uno povero ma dignitoso oppure ad uno ricco ma poco onesto. Egli le disse: "Preferisco un uomo privo di denaro che denaro privo di uomo". Dopo aver detto ciò raccomandò di scegliere un genero sciocco piuttosto che le ricchezze del genero. [...]
Ext. XIII
Demadis quoque dictum sapiens: nolentibus enim Atheniensibus divinos honores Alexandro decernere 'Videte' inquit 'ne, dum caelum custoditis, terram amittatis'.
E’ saggio anche un detto di Demade: infatti agli Ateniesi che non volevano concedere onori divini ad Alessandro, disse: "Fate in modo che, mentre custodite il cielo, non perdiate la terra".
Cap. V
II - Una battuta inopportuna causa una sconfitta elettorale
P. autem Scipio Nasica togatae potentiae clarissimum lumen, qui consul Iugurthae bellum indixit, qui matrem Idaeam e Phrygiis sedibus ad nostras aras focosque migrantem sanctissimis manibus excepit, qui multas et pestiferas seditiones auctoritatis suae robore oppressit, quo principe senatus per aliquot annos gloriatus est, cum aedilitatem curulem adulescens peteret manumque cuiusdam rustico opere duratam more candidatorum tenacius adprehendisset, ioci gratia interrogavit eum num manibus solitus esset ambulare. Quod dictum a circumstantibus exceptum ad populum manavit causamque repulsae Scipioni attulit: omnes namque rusticae tribus paupertatem sibi ab eo exprobratam iudicantes iram suam adversus contumeliosam eius urbanitatem destrinxerunt. Igitur civitas nostra nobilium iuvenum ingenia ab insolentia revocando magnos et utiles cives fecit honoribusque non patiendo eos a scurris peti debitum auctoritatis pondus adiecit.
Ancora, Publio Scipione Nasica, famosissimo esempio di autorità romana, che da console dichiarò guerra a Giugurta, che con mani purissime portò dalle sedi frigie la madre Ida trasferendola nei nostri altari e nelle nostre case, che soffocò con la forza della sua autorità molte e rovinose rivolte, che per alcuni anni si vantò principe del senato, poiché un giovane chiedeva la carica di edile, dopo aver stretto la mano di qualcuno, resa dura dal lavoro agricolo, più tenacemente rispetto all'usanza dei candidati, per scherzo gli domandò se fosse solito camminare con le mani. Udito ciò dalla gente vicina la sentenza si diffuse al popolo e recò il motivo dell'insuccesso elettorale di Scipione: e infatti tutte le tribù rustiche, giudicando che da lui la povertà sarebbe stata rinfacciata loro, sguainarono la propria collera contro la sua offensiva mondanità. Così la nostra città, distogliendo dall'insolenza gli animi dei giovani nobili, ne fece dei grandi e utili cittadini, e non permettendo che le magistrature fossero intraprese da dei buffoni, diede loro il peso dell'autorità dovuto.
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