Piccolo aiuto in latino...

Spero che questo blog possa esservi utile per tradurre alcune delle "noiose" versioni di latino!
Mi auguro che troverete ciò che fa per voi...
In bocca al lupo!!!

Come trovare le versioni...

Per riuscire a trovare le versioni a voi utili basta inserire nella casella di ricerca in alto a sinistra il nome dell'autore, il titolo o una frase della vostra versione: il testo e la traduzione appariranno sotto.
Un altro modo per trovare le vostre versioni è cercare nell'elenco degli autori a sinistra (in caso la versione non sia munita di autore non sarà possibile cercarla in tale elenco).
Chiedo anche la vostra collaborazione per poter aiutare gli altri: se avete qualche versione tradotta non inserita nell'elenco, inviatemela e la inserirò. O se invece trovaste degli errori vi prego di farmeli notare in modo tale che io possa correggerli...
Grazie per la collaborazione!!

Aulo Gellio - Noctes Atticae - Liber I

Aulo Gellio

Noctes Atticae

Liber I
X
VII - Socrate e Santippe

Xantippe, Socratis philosophi uxor, morosa admodum fuisse dicitur, et iurgiosa irarumque et molestiarum muliebrium per diem perque noctem scatebat. Has eius intemperies in maritum Alcibiades demiratus interrogavit Socraten, quaenam ratio esset, cur mulierem tam acerbam domo non exigeret. "Quoniam", inquit Socrates, "cum illam domi talem perpetior, insuesco et exerceor, ut ceterorum quoque foris petulantiam et iniuriam facilius feram". [...]

Si dice che Santippe, moglie del filosofo Socrate, fosse molto scontrosa e litigiosa, e piena di giorno e di notte di ira e molestie tipicamente femminili. Sorpreso di queste sue stravaganze Alcibiade interrogò al marito Socrate se ci fosse qualche ragione del perchè non avesse mandato via di casa una moglie così acerba. "Poichè" disse Socrate "quando tollero quel tale siffatto in casa, mi abituo e mi esercito a sopportare più agevolmente anche l'ingiustizia e l'insolenza di tutti gli altri fuori". [...]


XXIII - Papirio, un fanciullo ingegnoso

Historia de Papirio Praetextato dicta scriptaque est a M. Catone in oratione, qua usus est ad milites contra Galbam, cum multa quidem venustate atque luce atque munditia verborum. Ea Catonis verba huic prorsus commentario indidissem, si libri copia fuisset id temporis, cum haec dictavi. Quod si non virtutes dignitatesque verborum, sed rem ipsam scire quaeris, res ferme ad hunc modum est: mos antea senatoribus Romae fuit in curiam cum praetextatis filiis introire. Tum, cum in senatu res maior quaepiam consultata eaque in diem posterum prolata est, placuitque, ut eam rem, super qua tractavissent, ne quis enuntiaret, priusquam decreta esset, mater Papirii pueri, qui cum parente suo in curia fuerat, percontata est filium, quidnam in senatu patres egissent. Puer respondit tacendum esse neque id dici licere. Mulier fit audiendi cupidior; secretum rei et silentium pueri animum eius ad inquirendum everberat: quaerit igitur compressius violentiusque. Tum puer matre urgente lepidi atque festivi mendacii consilium capit. Actum in senatu dixit, utrum videretur utilius exque republica esse, unusne ut duas uxores haberet, an ut una apud duos nupta esset. Hoc illa ubi audivit, animus compavescit, domo trepidans egreditur ad ceteras matronas. Pervenit ad senatum postridie matrum familias caterva; lacrimantes atque obsecrantes orant, una potius ut duobus nupta fieret, quam ut uni duae. Senatores ingredientes in curiam, quae illa mulierum intemperies et quid sibi postulatio istaec vellet, mirabantur. Puer Papirius in medium curiae progressus, quid mater audire institisset, quid ipse matri dixisset, rem, sicut fuerat, denarrat. Senatus fidem atque ingenium pueri exosculatur, consultum facit, uti posthac pueri cum patribus in curiam ne introeant, praeter ille unus Papirius, atque puero postea cognomentum honoris gratia inditum "Praetextatus" ob tacendi loquendique in aetate praetextae prudentiam.

La storia di Papirio Pretestato è stata raccontata e scritta da Marco Catone nell'orazione che fece ai soldati contro Galba, con certamente molta eleganza e splendore e raffinatezza di linguaggio. In questo diario avrei riportato direttamente queste parole di Catone, se, quando ho dettato queste cose, avessi avuto una copia del libro di quell'epoca. Ma se non mi chiedi il valore e la dignità delle parole, ma la conoscenza del fatto in sé, la storia è all'incirca così: prima era usanza dei senatori di Roma di entrare in senato coi figli che ancora indossavano la toga pretesta. Allora, quando in senato fu discussa una faccenda piuttosto importante e fu rinviata al giorno successivo, e si decise che nessuno dovesse parlare della faccenda su cui stavano discutendo prima che fosse stata deliberata, la madre del giovane Papirio, che era stato in senato con suo padre, interrogò il figlio su cosa mai i senatori avessero discusso in senato. Il ragazzo rispose che ciò doveva essere taciuto e non era lecito fosse detto. La donna diventa più desiderosa di sentire; la segretezza della cosa e il silenzio del ragazzo invitò il suo animo ad indagare: chiede dunque più insistentemente e più violentemente. Allora il ragazzo siccome la madre lo opprimeva decise di dire una bugia arguta e divertente. Disse che in senato si era discusso se sembrasse più utile e fosse più nell'interesse dello stato se uno avesse due mogli o se una fosse sposa di due. Quando quella udì ciò, si impaurì, uscì di casa tremante per andare dalle altre signore. Accorse in senato il giorno dopo una folla di madri di famiglia; piangendo e supplicando pregano che una donna potesse essere in sposa a due invece che due donne a uno. I senatori che entravano in curia si stupivano di tale insubordinazione di donne, e di che cosa quella petizione lì volesse da loro. Il giovane Papirio, avanzato al centro della curia, racconta che cosa la madre aveva stabilito di sentire, e che cosa lui avesse detto alla madre, insomma la storia così com'era stata. Il senato loda la lealtà e l'ingegno del ragazzo, prende la decisione che da quel momento in poi i ragazzi non potessero entrare in senato con i genitori, tranne quel Papirio, e in seguito fu dato al ragazzo in onore il cognome "Pretestato" per la prudenza nel tacere e nel parlare già in età pretesta

XXVI - Plutarco e il suo servo

[...] «Plutarchus, inquit, servo suo, nequam homini et contumaci, sed libris disputationibusque philosophiae aures imbutas habenti, tunicam detrahi ob nescio quod delictum caedique eum loro iussit. Coeperat verberari et obloquebatur non meruisse, ut vapulet; nihil mali, nihil sceleris admisisse. Postremo vociferari inter vapulandum incipit neque iam querimonias aut gemitus eiulatusque facere, sed verba seria et obiurgatoria: non ita esse Plutarchum, ut philosophum deceret; irasci turpe esse; saepe eum de malo irae dissertavisse, librum quoque De ira pulcherrimum conscripsisse; his omnibus, quae in eo libro scripta sint, nequaquam convenire, quod provolutus effususque in iram plurimis se plagis multaret. Tum Plutarchus lente et lemter: "Quid autem, inquit, verbero, nunc ego tibi irasci videor? Ex vultune meo an ex voce an ex colore an etiam ex verbis correptum esse me ira intellegis? Mihi quidem neque oculi, opinor, truces sunt neque os turbidum, neque immaniter clamo neque in spumam ruboremve effervesco neque pudenda dico aut paenitenda neque omnino trepido ira et gestio. Haec enim omnia, si ignoras, signa esse irarum solent". Et simul ad eum, qui caedebat, conversus: "Interini, inquit, dum ego atque hic disputamus, tu hoc age"». [...]

[...] «Plutarco , disse , ad un suo servo, uomo disonesto e arrogante, ma che aveva le orecchie imbevute di testi e discussioni di filosofia, ordinò che fosse tolta di dosso la tunica per non so quale colpa e che fosse frustato. Aveva cominciato appunto ad essere frustato e protestava di non essersi meritato di essere battuto, dicendo che non aveva fatto niente di male, nessun delitto. Alla fine, mentre veniva battuto, si mise a gridare, ma non più ad emettere lamenti o gemiti e ululati, ma a dire parole severe e di rimprovero: diceva cioè che Plutarco non agiva così come conveniva ad un filosofo, che adirarsi era vergognoso, che lui più volte aveva discusso sui danni dell’ira, che aveva persino scritto un libro bellissimo sul dominio dell’ira; a tutto quello che risultava scritto in quel libro non si addiceva affatto che lui lo punisse con botte a non finire lasciandosi trascinare dall’ira. Allora Plutarco, con tranquillità e calma ribatté: "Che, furfante? Ti pare che adesso io sia in preda all’ira? Lo deduci forse dalla mia espressione del volto o dal tono della voce o dal colorito o anche dalle parole? Non ho davvero, credo, gli occhi cupi né l’espressione torva né grido in modo disumano né ribollo sbavando o infiammandomi e non dico cose di cui ci si debba vergognare o pentire e neppure per effetto dell’ira fremo né gesticolo. Se tu non lo sai, sono tutti questi di solito i segni dell’ira". E nello stesso tempo rivolto a colui che lo frustava disse: “Tu nel frattempo, mentre io e lui stiamo a discutere, fa’ quello che devi fare». [...]

Nessun commento:

Posta un commento