Piccolo aiuto in latino...

Spero che questo blog possa esservi utile per tradurre alcune delle "noiose" versioni di latino!
Mi auguro che troverete ciò che fa per voi...
In bocca al lupo!!!

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Valerio Massimo - Facta et dicta memorabilia - Liber IV

Valerio Massimo

Facta et dicta memorabilia

Liber IV
cap. VII

Ext. I - Damone e Finzia

Haeret animus in domesticis, sed aliena quoque bene facta referre Romanae urbis candor hortatur. Damon et Phintias Pythagoricae prudentiae sacris initiati tam fidelem inter se amicitiam iunxerant, ut, cum alterum ex his Dionysius Syracusanus interficere vellet, atque is tempus ab eo, quo prius quam periret domum profectus res suas ordinaret, impetravisset, alter vadem se pro reditu eius tyranno dare non dubitaret. Solutus erat periculo mortis qui modo gladio cervices subiectas habuerat: eidem caput suum subiecerat cui securo vivere licebat. Igitur omnes et in primis Dionysius novae atque ancipitis rei exitum speculabantur. Adpropinquante deinde finita die nec illo redeunte unus quisque stultitiae tam temerarium sponsorem damnabat. At is nihil se de amici constantia metuere praedicabat. Eodem autem momento et hora a Dionysio constituta et eam qui acceperat supervenit. Admiratus amborum animum tyrannus supplicium fidei remisit insuperque eos rogavit ut se in societatem amicitiae tertium sodalicii gradum mutua culturum benivolentia reciperent. Hascine vires amicitiae? Mortis contemptum ingenerare, vitae dulcedinem extinguere, crudelitatem mansuefacere, odium in amorem convertere, poenam beneficio pensare potuerunt. Quibus paene tantum venerationis quantum deorum inmortalium caerimoniis debetur: illis enim publica salus, his privata continetur, atque ut illarum aedes sacra domicilia, harum fida hominum pectora quasi quaedam sancto spiritu referta templa sunt.
Il mio animo pende dalla parte dei casi nazionali, ma il candore della città di Roma mi spinge a riportare correttamente anche i fatti esteri. Damone e Finzia, iniziati ai misteri della dottrina pitagorica, avevano stretto tra loro un'amicizia tanto stretta che, volendo Dionigi di Siracusa uccidere uno dei due, e avendo questo ottenuto da lui (Dionigi) il tempo per tornare in patria a sistemare i suoi affari prima di morire, l'altro non esitò a offrirsi al tiranno come garante per il ritorno dell'amico. Era liberato dal pericolo di morte uno che poco prima aveva il collo sotto la spada; alla stessa aveva accostato la propria testa uno che poteva vivere al sicuro. Tutti allora e per primo Dionigi osservavano l'esito del nuovo e incerto fatto. Avvicinandosi in seguito il giorno stabilito e non essendo quello ritornato, ciascuno tacciava di stupidità il garante così incosciente. Ma quello proclamava di non temere nulla riguardo la coerenza dell'amico. Infatti nello stesso momento arrivarono sia l'ora stabilita da Dionigi, sia colui che l'aveva accettata. Allora il tiranno, ammirando il carattere di entrambi, revocò la condanna per la (loro) fedeltà e inoltre chiese loro di accoglierlo nel vincolo di amicizia come un terzo gradino della compagnia (promettendo di) osservare l'affetto reciproco. Queste (sono) le forze dell'amicizia? Hanno potuto infondere il disprezzo della morte, far dimenticare la dolcezza della vita, rendere mansueta la crudeltà, mutare l'odio in amore, compensare la pena col beneficio. A queste andrebbe dovuta quasi la stessa venerazione che quella nelle cerimonie per gli dei immortali: a quelli infatti compete la salute di tutti, a queste (le forze dell'amicizia) la salute degli intimi, e come quelli hanno per sedi i sacri templi, di questi sono per cosi dire templi i cuori fedeli degli uomini, riempiti di un'anima divina

Cap. VIII

V - Tito Quizio Flaminio proclama la libertà dei Greci

[...] Philippo enim Macedoniae rege superato, cum ad Isthmicum spectaculum tota Graecia convenisset, T. Quintius Flaminius, tubae signo silentio facto, per praeconem haec verba recitari iussit: "Senatus populusque Romanus et T. Quintus Flamininus imperator omnes Graeciae urbes, quae sub dicione Philippi regis fuerunt, liberas atque immunes esse iubet". Quibus auditis, maximo et inopinato gaudio homines perculsi, primo veluti non audisse se quae audierant credentes, obticuerunt. Iterata deinde pronuntiatione praeconis, tanta cauelum clamoris alacritate compleverunt, ut certe constet aves, quae supervolabant, adtonitae paventesque decidisse. [...]
[...] Vinto Filippo re di macedonia, essendo tutta la Grecia riunita allo spettacolo dei giochi istimici, Tito Quinzio Flaminio, fatto silenzio con il segnale della tromba, comandò di recitare queste parole per mezzo di un araldo: "Il senato e il popolo romano e il generale Tito Quinzio Flaminio comanda a tutte le città greche, che erano sotto l'autorità di Filippo, di essere libere ed esenti da tributi". Udite queste parole, sorpresi da una gioia grandissima ed improvvisa, credendo all'inizio come se non avessero sentito quello che avevano sentito, ammutolirono. Finito poi il discorso dell'araldo, così grande ardore e clamore riempì il cielo, che si dice con certezza che gli uccelli, che volavano sopra, caddero storditi e spaventati. [...]
Cap. VIII

Ext. II - Un uomo estremamente generoso

Subnectam huic Acragantinum Gillian, quem propemodum ipsius liberalitatis praecordia constat habuisse. Erat opibus excellens, sed multo etiam animo quam divitiis locupletior semperque in eroganda potius quam in corripienda pecunia occupatus, adeo ut domus eius quasi quaedam munificentiae officina crederetur: illinc enim publicis usibus apta monumenta extruebantur, illinc grata populi oculis spectacula edebantur, illinc epularum magnifici apparatus labentique annonae subsidia oriebantur. Et cum haec universis, privatim alimenta inopia laborantibus, dotes virginibus paupertate pressis, subsidia detrimentorum incursu quassatis erogabantur. Hospites quoque cum urbanis penatibus tum etiam rusticis tectis benignissime excepti, uariis muneribus ornati dimittebantur. Quodam vero tempore D simul Gelensium equites vi tempestatis in possessiones suas conpulsos aluit ac vestivit. Quid multa? Non mortalem aliquem, sed propitiae Fortunae benignum esse diceres sinum. Ergo quod Gillias possidebat omnium quasi commune patrimonium erat. Pro cuius salute et incrementis cum Acragantina civitas tum etiam vicinae regiones votis excubabant. Conloca e contraria parte arcas inexorabilibus claustris obseratas, nonne praestantiorem aliquanto existimes illam inpensam quam hanc custodiam?

Un agrigentino di nome Gillia era straordinariamente ricco , ma molto più ricco d'animo che di ricchezze, al punto che la sua casa era quasi creduta una specie di officina di generosità: da lì venivano innalzati monumenti legati ad usi pubblici, venivano allestiti spettacoli graditi agli occhi del popolo, derivavano gli splendidi fasti dei banchetti e mezzi di sostegno. Gillia donava queste cose a tutti: concedeva privatamente beni alimentari a coloro che soffrivano la fame , doti alle vergini oppresse dalla povertà, aiuti a coloro che erano stati abbattuti dall'incombenza di danni. Anche gli ospiti, accolti come (sia) dalle case di città così anche(sia) dalle abitazioni di campagna molto bene, venivano congedati ornati di diversi doni. In un certo periodo nutrì e vestì allo stesso tempo cinquecento cavalieri di Gela, spinti dall'impeto della tempesta nei suoi possedimenti.Che dire di più? Non si sarebbe detto che fosse un mortale qualunque, ma un'abbondante tasca della propizia dea Fortuna. Quindi ciò che Gillia possedeva era quasi un patrimonio comune di tutti. Come la città di Agrigento così anche le regioni vicine avevano cura dei voti per la salute e gli sviluppi di questi (Gillia).

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